Da qualche tempo una mano ignota lascia un cero acceso sulla tomba di Jerry Masllo, il giovane sudafricano ucciso nella notte tra il 24 e il 25 agosto 1989 durante un assalto nel capannone dove dormiva assieme ad altri immigrati, nel tentativo di rubargli i pochi soldi guadagnati con la raccolta dei pomodori nei campi.
Non si conosce l’autore di questo gesto di pietà nel cimitero di Villa Literno, ma qualcuno sostiene che si tratti di uno degli artefici di quella scellerata rapina che, dopo aver scontato numerosi anni in prigione, oggi è tornato in libertà.
Quest’anno cadono trent’anni dall’omicidio di Jerry Essan Masllo, (con due «l» come egli stesso ha scritto sulla sua bibbia conservata dalla Comunità di Sant`Egidio).
Era nato nel 1959 in Sudafrica a Umtata (oggi Mthatha), capitale del Transkei, uno dei bantustan di quel paese, cioè quei territori assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid. Genitori contadini, era cresciuto in una capanna di legno e lamiere, ma era comunque riuscito a studiare nelle scuole per soli neri. Si sposò giovane ed ebbe tre figli. Attivo in politica, aderì all’African National Congress e ad altre formazioni che si opponevano al regime segregazionista di Città Del Capo.
Il 2 marzo 1988 una terribile tragedia si abbattè sulla sua vita: i genitori e il suo bambino di 7 anni furono uccisi dalla polizia durante una manifestazione.
Decise allora di fuggire imbarcandosi su una nave con il fratello che durante il viaggio fu colpito da una febbre violenta. A Port Harcourt, in Nigeria scese dall’imbarcazione alla ricerca di farmaci, ma non riuscì più a risalire a bordo. Del fratello non seppe più nulla e, rimasto solo, acquistò un biglietto aereo per Roma vendendo un bracciale d’oro e il suo orologio, un ricordo del padre.
Jerry sbarcò alle 19,45 del 20 di quello stesso mese all’aeroporto di Fiumicino, come hanno ricostruito Michele Colucci e Antonello Mangano nell’articolo pubblicato qualche settimana fa su Internazionale. Cercarono di farlo rimpatriare con il viaggio di ritorno sullo stesso aereo, ma il comandante si oppose, perché era in evidente strato di agitazione, e poteva rappresentare un pericolo per la sicurezza a bordo.
Subito si sparse la voce dell’arrivo di un esule dal Sudafrica, un paese al centro dell’attenzione della pubblica opinione internazionale per le leggi razziste e di segregazione che erano state emanate. Solo poche settimane prima erano state sciolte 17 organizzazioni per i diritti umani ed era stata riconfermata la legislazione eccezionale dello stato di emergenza che copriva il sistema repressivo.
Di lui cominciarono ad occuparsene l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e Amnesty International che lo assistette nella sua richiesta di asilo politico. Ma in quel periodo l’Italia riconosceva lo status di rifugiato solo a coloro che arrivano dall’Europa dell’Est (la cosiddetta clausola geografica). La risposta fu quindi negativa. Amnesty dopo aver verificato l’attendibilità delle denunce di Masllo si rese disponibile a cercargli una sistemazione. I funzionari del ministero degli interni acconsentirono e, in un appunto redatto dal gabinetto del ministro dell’interno, reperito da Colucci e Mangano, se ne comprende la motivazione: “è necessario adottare immediatamente un provvedimento positivo al fine di evitare che del caso se ne occupi la stampa”. La vicenda del giovane sudafricano doveva essere risolta senza creare clamore. E così, dopo essere stato trattenuto per 4 settimane nell’area di transito dell’aeroporto, il 3 maggio del 1988 Jerry venne ospitato ne “La Tenda di Abramo”, una struttura della Comunità di Sant’Egidio a cui Amnesty si era rivolta, dove venivano accolti tanti stranieri senza distinzioni di razza e di religione. Qui, per la prima volta, sperimentò una condizione opposta a quella dell’apartheid: fu sorpreso di poter mangiare seduto accanto ai bianchi e cominciò a frequentare la Scuola di lingua italiana e la mensa della Comunità di Sant’Egidio. Anche se si portava dentro la ferita insanabile della morte del figlio, amava ridere e cantare. Con la musica faceva sentire unite persone molto diverse fra di loro, come ricorda Daniela Pompei della comunità romana, tra le prime persone a conoscerlo. Una delle foto più celebri lo ritrae mentre suona la chitarra.
Il 26 maggio del 1988 con grande sorpresa si ritrovò di fronte l’arcivescovo Desmond Tutu, venuto a Roma per inaugurare la Tenda di Abramo. In quella occasione cantò CryFreedom la canzone del film contro l’apartheid. Masllo è stato sempre un uomo molto religioso: durante la permanenza all’aeroporto aveva chiesto una bibbia in lingua inglese, dove egli stesso aveva sottolineato alcuni passi. Nel libro dell’Esodo al capitolo 6: “Pertanto di’ agli israeliti che io sono il Signore, vi sottrarrò ai lavori forzati degli egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù, e vi riscatterò con braccio teso e con grandi castighi”.
Secondo Daniela Pompei “Jerry ha sentito queste parole molto vicine alla sua condizione, ha creduto alla liberazione dalla schiavitù del razzismo, e alla promessa di un riscatto che aveva iniziato a vivere in Italia.” E ancora in Romani 11: “Tu rimani innestato grazie alla fede, tu non insuperbirti ma abbi timori”. Accanto a questi versetti Jerry aveva scritto la frase “la fede di Abramo”. La vita vissuta nella Tenda di Abramo accanto a musulmani e cristiani di altre confessioni gli avranno fatto riscoprire in modo più forte il legame con il padre di tutte le genti.
Iniziò a cercare qualche lavoro, “talvolta gli capitava di fare qualche lavoretto sporadico come aiutante muratore presso qualche cantiere edile oppure scaricatore di merci al mercato ortofrutticolo”, ricorda Jean Renè Bilongo.
Aveva saputo da alcuni immigrati che era possibile lavorare per la raccolta del pomodoro e allora, nell’estate del 1988, si recò a Villa Literno. Il bracciantato estivo nelle campagne era un’attività massacrante e sottopagata ma rappresentava l’unica fonte di guadagno per gli immigrati neri, tanto che in quegli anni nella cittadina liternese se ne contavano oltre quattromila.
Finita la stagione della raccolta, Jerry tornò a Roma e raccontò delle durissime condizioni di vita degli immigrati. Molti vivevano nel “ghetto”, una bidonville alle porte del paese, alcuni dormivano persino nei loculi in costruzione del cimitero, altri in casolari abbandonati, senza acqua e luce, distanti dal centro. All’alba si radunavo nella rotonda del paese, che veniva chiamata la «piazza degli schiavi», dove venivano presi a giornata dai caporali in cambio di cinquemila lire.
Il lavoro nei campi poteva durare anche quindici ore al giorno con una piccola pausa per bere un po’ d’acqua e mangiare pane e conserva. I braccianti venivano pagati a “cassetta”, ognuna conteneva circa 25 kg di prodotto e rendeva dalle ottocento alle mille lire. Per poter raggiungere un salario giornaliero di 40.000 lire era necessario riempire più di quaranta casse.
Intanto Masllo aveva chiesto il visto per il Canada dove avrebbe voluto ricongiungersi con la moglie e gli altri figli, ma ci volevano tempi lunghi per il suo rilascio. In questi mesi crebbe il legame di amicizia con i volontari della Comunità di Sant’Egidio che cominciava a diventare la sua seconda famiglia.
L’estate successiva ritornò a Villa Literno e, nel mese di luglio, Daniela Pompei lo andò a trovare con alcuni amici di Napoli. Jerry fu molto contento di quella visita e salutandosi si diedero appuntamento a settembre.
In quel periodo, tra gli immigrati, stava maturando la consapevolezza sulle condizioni di sfruttamento alle quali erano costretti a sottostare. Il sindacato cominciò a prendere atto di questa situazione e si organizzarono delle riunioni alle quali partecipò anche Jerry.
Nello stesso tempo cominciarono a verificarsi atti di intolleranza nei confronti dei braccianti africani. Alcuni giovani locali avevano organizzato dei veri e propri “squadroni” per picchiare gli immigrati o per terrorizzarli e costringerli a stare lontani dalle vie del centro della città.
Furono rinvenuti dei volantini che incitavano alla violenza in cui era scritto: «È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie … e poiché scorrazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini». I media iniziarono ad occuparsi della situazione di sfruttamento nelle campagne di Villa Literno, e una troupe della rubrica Nonsolonero del TG 2, girò un servizio sulla condizione degli immigrati che raccoglievano i pomodori, dove fu intervistato anche Masllo che in quella circostanza affermò: «Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».
La notte del 24 agosto del 1989 Jerry si era ritirato nel capannone di via Gallinelle dove dormiva con altri 28 immigrati. All’improvviso quattro giovani incappucciati fecero irruzione con armi e spranghe di ferro chiedendo che gli venissero consegnati tutti i soldi che avevano addosso. Erano quattro balordi del luogo che pensarono di fare un ricco bottino con il frutto di due mesi di duro lavoro costato ai braccianti lacrime e sangue. Una rapina ai neri doveva essere un gioco da ragazzi, ma incontrarono una reazione inaspettata. Non sono mai stati chiariti del tutto i drammatici momenti che seguirono. Sembra che alcuni consegnarono subito il denaro conservato sotto i materassi o negli indumenti, mentre altri si rifiutarono. Un sudanese di 29 anni, Bolyansen, fu colpito con il calcio di una pistola in testa, probabilmente perché non volle consegnare i suoi risparmi ai ladri. La situazione sfuggì di mano ai quattro rapinatori che spararono alcuni colpi di pistola. Poi, temendo una reazione di massa degli immigrati fuggirono sui motorini con cui erano arrivati. Kirago Antony Yrugo, un ragazzo del Kenya e Masllo, colpiti dai proiettili, caddero a terra. Il primo riuscì a sopravvivere, mentre per Jerry non ci fu nulla da fare, morì prima dell’intervento dei medici.
Daniela Pompei che era stata la persona più vicina da quando era giunto in Italia, fece il riconoscimento della salma. La Cgil chiese i funerali di Stato. La morte di Masllo destò un grande sconcerto e una forte emozione in tutto il Paese. L’Italia si scoprì razzista e cominciò a rendersi conto dei sentimenti xenofobi che albergavano in una parte della popolazione. Le esequie, a cui partecipò il vicepresidente del consiglio Claudio Martelli, vennero trasmesse in diretta dalla Rai. Era il 28 agosto. Quel giorno andai con gli amici della Comunità di Sant’Egidio di Napoli per manifestare il nostro dolore e la nostra solidarietà. Ricordo un grande caldo e tanta gente, nonostante piovesse. Un silenzio surreale interrotto da alcuni canti, con la bara di Jerry che veniva portata in mezzo al paese. Quella vita che era stata nascosta e disprezzata ora doveva essere visibile, non solo all’intera nazione, ma a tutti gli abitanti di Villa Literno. Lo accompagnammo fino al cimitero e poi ce ne andammo con un grande senso di tristezza. Quella morte fu l’inizio di un’ondata di solidarietà anti-razzista mai vista prima in Italia. Il 20 settembre 1989 ci fu uno sciopero auto-organizzato dai braccianti di Villa Literno, quel giorno i furgoni dei caporali restarono vuoti, nessuno dei 4000 immigrati che raccoglieva i pomodori andò a lavorare. Altre manifestazioni seguirono in altre parti del Paese, fino alla grande mobilitazione del 7 ottobre, quando un grande corteo di 200.000 persone sfilò per le strade di Roma per chiedere adeguati diritti agli immigrati, che nel frattempo erano cresciuti considerevolmente di numero, fino ad arrivare alle seicentomila presenze nel 1990. E così il 28 febbraio 1990 venne emanata la cosiddetta legge Martelli nella quale l’Italia recepirà del tutto la Convenzione di Ginevra. La nuova normativa prevedeva l’eliminazione della clausola geografica (per cui Jerry Masllo non potè richiedere asilo politico), il divieto assoluto di espulsione e respingimento dello straniero verso uno Stato dove poteva essere oggetto di persecuzioni e, inoltre, vennero riconosciuti e garantiti i diritti dei lavoratori stranieri.
Fu l’inizio fu di una presa di coscienza da parte dei politici italiani e l’alba di una nuova stagione, seppur tra luci ed ombre, in cui veniva regolamentata la condizione degli immigrati nel nostro Paese.
Per l’omicidio di Jerry Masllo furono arrestati e condannati quattro giovani di Villa Literno: un contadino, un meccanico, il garzone di un barbiere e un minorenne.
Nacquero in Italia e in Campania varie associazioni intitolate a Jerry Masslo. Nel settembre del 1989 a Napoli si inaugurò la Scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio.
Trenta anni sono passati da quella maledetta notte. Non sembrano così tanti. Resta ancora aperta la domanda su come sia possibile realizzare una vera e proficua integrazione. E resta anche il mistero di una mano ignota che tiene accesa una fiammella sulla tomba di Jerry. Probabilmente per rischiarare le tenebre e per scacciare i fantasmi di quella terribile notte di oblio.