Il Territorio
La Caritas di Aversa opera nel territorio della diocesi di Aversa.
L’area, incastonata tra Napoli Nord e il Sud di Caserta, comprende la città di Aversa e i comuni di Parete, Grumo Nevano, Villa di Briano, Caivano, San Cipriano d’Aversa, Frattamaggiore, Giugliano in Campania, Qualiano, Casal di Principe, Gricignano di Aversa, Sant’Antimo, Cardito, Sant’Arpino, Cesa, Casapesenna, Casandrino, Carinaro, Trentola-Ducenta, Teverola, Crispano, Casaluce, San Marcellino, Lusciano, Villa Literno, Frignano, Orta di Atella, Frattaminore, Succivo.
La Caritas Diocesana espleta i suoi compiti di promozione della testimonianza della Carità nella Comunità cristiana attraverso la Caritas Parrocchiale.
La Caritas Parrocchiale coordina l’area della carità in parrocchia e sul territorio ad essa legato.


La Diocesi di don Peppe Diana
"Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa,
colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa.
Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me
nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote,
impegnato nel servizio pastorale alla sua gente.
Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro,
evangelico chicco di grano caduto nella terra,
produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace.
Don Giuseppe Diana ha condiviso con il sangue il sacrificio di Cristo Redentore."
(Papa Giovanni Paolo II)
“Non c’è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di avere paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare” (don Giuseppe Diana)
"Chi è don Peppe?"
Seme gettato per dare molto frutto
di Rocco Pezzullo
Nella penombra di una sacrestia inondata dalle prime luci di un mattino fresco, preludio di primavera, giunse inaspettato l’interrogativo che ha caratterizzato tutta la sua esistenza: “Chi è don Peppe?”
19 marzo 1994. Don Peppe Diana si prepara a celebrare la messa del mattino. Giorno del suo onomastico e festa del papà. Indossa i paramenti sacri. Accanto a lui, Augusto Di Meo. L’amico di sempre. Era lì, come ogni mattina, per salutarlo prima di andare a lavoro. Don Peppe è preoccupato. Il paese è in piena campagna elettorale. Teme collusioni tra politica e camorra. Vuole fare qualcosa, vuole continuare a risvegliare le coscienze. Lo avverte come dovere di cittadino e di prete. Non vuole che la sua amata terra continui a restare nelle mani di criminali e farabutti.
Da circa cinque anni è parroco nella Chiesa dedicata a San Nicola, a Casal di Principe. Ha toccato con mano la sofferenza della gente. Ha assistito a soprusi e violenze in un territorio seviziato dalla malavita, nel silenzio di gran parte della chiesa e delle istituzioni. Si sente solo, a volte, ma non può tacere. Non ci riesce. Immediato, focoso, spontaneo, sempre pronto a dire ciò che pensa.
Forse, in quella sacrestia, sta pensando ai giovani innocenti uccisi dalla camorra il cui ricordo, anche oggi, vorrà portare con sé sull’altare. Forse continua a cercare risposta alla domanda posta a se stesso e ripetuta ad alta voce ai fedeli, durante la celebrazione dei funerali di un innocente ucciso per sbaglio: “Ma Dio, da che parte sta?“.




Sabato. Ultima settimana di quaresima, a due di distanza dal giorno di Pasqua. Pensa che la vera passione, il più grande assassinio, è quello che la camorra sta realizzando per il suo paese. È necessario lo si faccia risorgere. Al più presto. La morsa stringente del racket, degli omicidi, degli affari illegali, della droga rappresentino l’agonia del territorio. Sarà Pasqua di resurrezione quando si ritroverà tutti “il coraggio di avere paura, di fare delle scelte e denunciare“, quando tutti saranno capaci di “risalire sui tetti e annunciare parole di vita”.
“Chi è don Peppe?”. Non ci sono più dubbi, ormai. Le sue scelte raccontano ciò che è stato.
Uno sparo. Il primo, perché è riuscito a risvegliare le coscienze, a dare forza agli onesti.
Due. Per quella manifestazione organizzata in seguito all’assedio alla caserma dei carabinieri liberati – assurdo e tremendo – dall’intervento del boss di quartiere.
Tre. Per le sue omelie. Per le sue parole di speranza. Perché non si è mai piegato.
Per quel documento scritto e firmato da lui e da altri preti. Le parole sono pericolose. Come l’amore per la propria terra e la sua gente. “Per amore del mio popolo, non tacerò!”. Quattro.
“Sono io”. Seme gettato. Morto per dare molto frutto.
20 luglio 1969
Quel passo sulla Luna era la realizzazione di un sogno millenario.
Adesso non ci resta che compiere l'insormontabile,
quotidiano e faticosissimo passo verso l'altro.
Chi sarà l'eroe di oggi?@CaritasAversa Tweet