Sono vissuto per dodici anni a Korogocho, una delle più micidiali baraccoppoli di Nairobi, la capitale del Kenya. Ho voluto sentire sulla mia pelle quello che significa vivere in tali realtà. Sono vissuto come loro in una baracca, ho mangiato quello che loro mangiano, ho camminato a piedi come i poveri camminano.
Ho scelto la compagnia delle prostitute, dei raccoglitori di rifiuti, dei ragazzi di strada, dei malati di Aids. Ho scoperto che sono loro il volto di Cristo oggi, il volto di Dio, come disse una ragazzina, Florence, sul letto di morte.
“Questa identificazione – afferma il teologo francese Bruno Chenu- non è generale, ma personalizzata: ogni volto di povero è icona di Cristo. E perciò stesso diventa rivelatore del cattivo ordine del mondo, denunciatore dell’ingiustizia regnante”.
E Chenu puntualizza che “nel tempo della storia, la relazione con il Cristo vincitore è mediata dall’altro vinto, indigente, spogliato, affamato. La via più breve per andare a Cristo è la via per l’altro. La prossimità a Cristo è la prossimità ai nostri fratelli nell’indigenza”.
È esattamente quello che ci dice Gesù nel racconto del giudizio finale: “Ero affamato, assetato, prigioniero… quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l‘avete fatto a me.” (Matteo 25)
Il grande pensatore ebraico, Levinas, diceva che in queste parole c’è più transustanziazione che non nelle parole di Gesù sul pane e vino. Forse è un’esagerazione, ma Levinas coglie bene ciò che noi cristiani così spesso dimentichiamo: l’identificazione di Gesù con gli ultimi.
Se questo è vero, allora non possiamo, come cristiani, accettare il crescente razzismo in mezzo a noi, le leggi razziste del nostro governo, la guerra alle navi salvavite.
Siamo arrivati all’assurdo con il Decreto Sicurezza bis, nel quale si asserisce che salvare vite in mare è reato.
Se si nega il diritto-dovere di soccorso in mare si intacca il fondamento del Sistema Universale dei diritti umani, ma soprattutto per noi cristiani si intacca il cuore del Vangelo di Gesù.
Come cristiani non possiamo più tacere. Come seguaci di quel povero Gesù di Nazareth, crocifisso dall’Impero Romano come sovversivo, dobbiamo gridare che non possiamo più accettare tali politiche razziste e criminali.
L’unica nostra risposta come cristiani è quella espressa dal vescono di Tangeri (Marocco), Santiago Agrelo: “E’ inaccettabile che merci e capitali godano di più diritti dei poveri per entrare in un paese. È inaccettabile che si rivendichino frontiere impermeabili per i pacifici della terra e si tollerino frontiere permeabili al denaro della corruzione, al turismo sessuale, alla tratta di persone, al commercio delle armi.”
Questa è la logica evangelica che noi cristiani dobbiamo vivere, pagando di persona.